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LA COLLABORAZIONE INTERAZIENDALE E L'INTERNAZIONALIZZAZIONE
14 luglio 2003
Il mutamento della strategia internazionale delle aziende a partire dagli anni '70
(ACR) - A partire dagli anni '70 la strategia internazionale delle imprese si esprime in misura crescente attraverso modalità diverse dai due casi-tipo, rappresentati dalle esportazioni e dagli investimenti diretti esteri. In particolare, si verifica un ricorso a forme di collaborazione interaziendale, di natura multiforme (equity o non equity) e con finalità variegate (accesso a risorse, a tecnologie, a opportunità di mercato). Tuttavia, proprio nell'ambito degli studi dell'internazionalizzazione delle imprese, ancora negli anni '80 il riconoscimento del ruolo rilevante degli accordi tra imprese non porta ad identificarli come percorso strategico di pari dignità rispetto alla tradizionale opzione dell'investimento diretto estero. Secondo tali impostazioni le soluzioni cooperative si qualificano in diversi casi come opzioni di second best, perseguite in particolare laddove l'ingresso in un Paese estero sia vincolato da restrizioni governative e, più in generale, da fattori ambientali. La forte diffusione degli accordi tra imprese a partire dagli anni '80 ha portato a ricercare nuovi approcci alla comprensione del fenomeno. L'attenzione degli studiosi si è in particolare sempre più soffermata sull'orientamento strategico, anziché tattico, degli accordi: lo dimostra la sottolineatura della loro essenza di operazioni di lungo termine. Il concetto di cooperazione tra imprese si libera progressivamente da interpretazioni che ne sottolineavano l'aspetto collusivo (l'accordo come strumento per ridurre la pressione concorrenziale) o l'aspetto elusivo (l'accordo come strumento per aggirare restrizioni governative all'entrata in un Paese) o ancora quello tattico (l'accordo come strumento per la gestione occasionale dell'internazionalizzazione). E' dunque la chiave di lettura strategica quella oggi ritenuta più vantaggiosa; in particolare, la fenomenologia degli accordi viene inquadrata nel contesto dei processi di apprendimento. La natura profonda delle soluzioni collaborative, che ne spiega la diffusione esponenziale, va ricercata nella loro coerenza con un contesto ambientale dinamico e competitivo in cui si decreta il venir meno delle condizioni di autosufficienza dell'impresa; infatti la mobilitazione e lo sfruttamento delle risorse interne non garantiscono più la sopravvivenza aziendale nel lungo termine. La consapevolezza della perdita di tale autosufficienza e la necessità di accedere a risorse complementari sono i cardini della sperimentazione di soluzioni cooperative, la cui veste giuridico-organizzativa può assumere gradazioni estremamente differenziate. Lo spettro di tali soluzioni spazia infatti dagli accordi non equity, nelle loro diverse fattispecie (franchising, licensing, contratti di subfornitura, ecc.) a quelli di natura equity (joint ventures, acquisizioni o scambi di partecipazioni minoritarie, consorzi, ecc.). Queste forme intermedie tra lo sviluppo interno ed il mercato possono offrire, quindi, l'opportunità di conseguire obiettivi altrimenti irraggiungibili, di tradurre in pratica con tempi rapidi strategie complesse, di superare alcune delle barriere che si oppongono all'entrata in mercati e settori protetti. Le aziende che scelgono di perseguire una strategia collaborativa, in prima approssimazione cercano in questo modo di risolvere problemi strategici che non sono in grado di superare con le sole proprie forze. L'appartenenza ad un aggregato interaziendale può dar loro modo di potenziare alcuni vantaggi competitivi, di acquisirne di nuovi o di difendersi dai concorrenti in maniera più efficiente e talvolta anche più efficace di quanto potrebbero fare in autonomia. I vantaggi più spesso ricercati sono la condivisione di costi ed investimenti, il raggiungimento della dimensione ottimale o della massa critica necessaria per essere competitivi, l'acquisizione di competenze non possedute, la riduzione del rischio, il superamento di barriere all'entrata in alcuni mercati, la limitazione della libertà di manovra di concorrenti attuali e potenziali, l'accesso a risorse critiche, il completamento della propria offerta. Un aspetto solitamente trascurato trattando delle aggregazioni interaziendali è quello dei vantaggi non ricercati che queste comportano, ovvero dei benefici inattesi. Tra i benefici minori e inaspettati, tipici delle aggregazioni interaziendali, ricordiamo l'immagine che l'azienda acquista, l'accesso a fonti di informazione e l'apertura di canali di comunicazione altrimenti preclusi. La consapevolezza delle valenze positive degli accordi non deve, tuttavia, essere disgiunta da una parallela considerazione dei pericoli e delle difficoltà insite in uno sviluppo aziendale guidato da logiche collaborative. La comprensione dei problemi e dei rischi che si possono presentare a fronte di una strategia collaborativa costituisce il presupposto per decidere se sia opportuno oppure no stringere alleanze o accordi. I rischi ed i problemi che sono stati con maggior frequenza rilevati all'interno di aggregati aziendali sono riconducibili a quattro cause. Alle caratteristiche delle aziende partner, ai loro atteggiamenti e comportamenti, quali le intenzioni aggressive, la simmetria di potere, l'inadempienza da parte di un partner; i mutamenti nell'assetto istituzionale dei partner. I problemi connessi alle caratteristiche, atteggiamenti e ai comportamenti dei partner sono quelli che più difficilmente possono essere sanati in tempi brevi e la gravità delle conseguenze di un rapporto di collaborazione instaurato tra aziende per varie ragioni incompatibili tra loro fa riflettere sull'importanza che assume la selezione dei partner. Viene ad esempio sottolineata l'importanza di selezionare partner nei quali si sia ricercato non soltanto il requisito della complementarità (in termini di competenze, risorse, prodotti e servizi offerti, mercati serviti), ma anche quello della compatibilità culturale. Più ancora di quello che l'azienda partner può apportare, è fondamentale accertare in questa fase del processo se essa è credibile e se esiste compatibilità culturale. Una condizione, quindi, necessaria per il funzionamento di un'alleanza è l'esistenza di un rapporto di reciproca fiducia. Molte delle difficoltà che si possono incontrare in una strategia di collaborazione sono riconducibili non alle caratteristiche di base dei singoli partner, ma ai rapporti tra i partner stessi. Esempi di questo tipo sono: la mancata disponibilità ad investire più di quanto pianificato, o ad investire per tempi più lunghi rispetto a quelli stimati nel rapporto di collaborazione, il venir meno della coerenza e della compatibilità tra gli obiettivi che ciascun partner intende conseguire, problemi di comunicazione; incapacità di accordarsi sulla gestione dell'aggregato per volontà di ciascun partner di ricoprire le funzioni critiche. Riferendoci in particolar modo alle collaborazioni internazionali, si può affermare che queste si differenziano rispetto a quelle realizzate dalla medesima nazionalità per diversi elementi, tra questi i più rilevanti sono: motivazioni, distanza fisica e culturale tra i Paesi, distanza culturale tra le aziende. Le alleanze internazionali hanno come ulteriore motivazione l'obiettivo di superare barriere all'entrata in nuovi mercati. Molto spesso, infatti, la costituzione di un aggregato è l'unica modalità per mezzo della quale poter operare in alcuni Paesi le cui legislazioni pongono vincoli formali all'ingresso di operatori stranieri. L'azienda che si internazionalizza in questo modo potrebbe, quindi, non essere pronta alla realizzazione di una strategia cooperativa o non avere le competenze e le capacità adeguate e ricercate nell'alleanza. All'aumentare della distanza fisica tra i Paesi di provenienza dei partner aumentano i problemi di coordinamento tra le stesse aziende e, in generale, i problemi di natura organizzativa. Di più difficile risoluzione sono i problemi legati alla distanza culturale tra i Paesi, infatti questa si traduce in: diversa normativa e regolamentazione delle attività delle imprese e diverse caratteristiche dell'ambiente sociale e competitivo, richiedendo così nelle imprese partner notevole flessibilità e capacità di adattamento. La distanza culturale tra Paesi sta, poi, alla base della distanza culturale tra i partner, la cui espressione più forte si ritrova nella incompatibilità tra valori e nella difficoltà di comunicazione. La cooperazione tra imprese può costituire un fenomeno circoscritto ad un'unica attività e al raggiungimento di uno specifico obiettivo, oppure può assumere manifestazioni molteplici e differenziate, che originano una tale frequenza ed intensità di relazioni nell'ambito di un gruppo di imprese da fare prefigurare l'esistenza di una rete. L'accordo diadico, di solito, rappresenta il punto di partenza di un percorso di sviluppo aziendale basato sulla cooperazione, in cui la logica delle alleanze diviene via via più funzionale al disegno strategico internazionale dell'impresa, fino al determinarsi di un'architettura di tipo reticolare. In sintesi l'architettura reticolare costituisce il terreno sul quale le forme di organizzazione sia delle grandi che delle piccole imprese possono convergere. Tale convergenza determina un sostanziale affievolirsi della demarcazione tra grande e piccola dimensione. L'effetto dell'architettura reticolare è , infatti, quello di rendere meno netti i confini esterni dell'organizzazione e di sfumare la percezione della dimensione aziendale. Le grandi imprese si sono caratterizzate negli anni recenti per gli intensi processi di ristrutturazione, che hanno portato ad accrescere l'autonomia delle unità organizzative, fino alla creazione di imprenditori interni e di mercati interni. Hanno focalizzato la propria attività sulle core competencies, esternalizzando tutte le attività ritenute non core attraverso il ricorso crescente all'outsourcing. Hanno sviluppato alleanze con i concorrenti, i principali fornitori e clienti, secondo logiche di co-produzione, co-marketing, co-progettazione. Alla rete organizzativa interna si è così aggiunta una rete esterna, via via più articolata. A questo "farsi piccola" della grande impresa ha corrisposto un parallelo "farsi grande" della piccola impresa, utilizzando il comune strumento della reticolarizzazione. Nel caso delle piccole aziende il processo ha assunto tipicamente la via della costruzione di una rete esterna, tra l'impresa e soggetti terzi, per accedere a risorse e competenze complementari non disponibili all'interno dell'organizzazione, per superare il vincolo finanziario alla crescita e per gestire processi di sviluppo globale. Con la reticolarizzazione anche la piccola impresa può raggiungere, attraverso la collaborazione con altre aziende, la massa critica di competenze necessaria alla competizione globale. (S.C.)