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IL CACIOCAVALLO
19 maggio 2003
Storia e metodo di produzione
(ACR) - Il caciocavallo, un prodotto che da sempre ha suscitato invidia e rivalità, evidentemente per un solo motivo: la sua bontà. Documentata è la denigrazione ad opera degli "dei" maggiori dell'industria agraria riuniti in giuria all'Esposizione Universale di Parigi del 1878, che definirono il caciocavallo come il "segnacolo della barbarie delle Province meridionali". Sotto accusa, a loro dire, il metodo di fabbricazione definito "dilapidatore", la manipolazione "lorda e schifosa" perché affidata alle mani di un pastore sudante, la forma "eteroclita ed assassina" che non permetteva di maneggiarlo e offrirlo convenzionalmente in tavola. Ad onor del vero, gli estimatori del caciocavallo non se la presero più di tanto, anzi vi fu qualcuno, due fratelli di Muro Lucano per l'esattezza, che decisero di trasferirsi per "configurar caciocavalli" , proprio alle porte di Milano, nel centro del regno nemico. Il risultato: "trattasi di una fabbricazione casearia che può essere fatta in tutte le stagioni dell'anno, che non richiede vasti locali né macchine particolari, che non produce scarti, formaggi che possono trasportarsi senza danni sia al polo, che sotto il torrido clima della nostra colonia Eritrea". Il caciocavallo ha un nome e una forma strana. Diverse le interpretazioni sull'origine del nome: l'ipotesi meno corretta è che anticamente quel formaggio venisse realizzato utilizzando latte di cavalla, ma né gli antichi, né i moderni hanno mai fabbricato cacio che non provenisse dai ruminanti, e in questo senso già si esprimeva Plinio il Vecchio, ed è risaputo che il latte delle asine era utilizzato per il bagno delle "dame" romane. Inadeguata, altresì, la spiegazione riferibile al metodo di stagionatura: caci legati a coppia, con opportuni legacci, a cavallo di una pertica, in quanto ad altri caci della stessa natura anche se legati a coppia e conservati nell'identico modo furono dati altri nomi: palle, palloni, melloni, mellonotti. Convincente la tesi relativa al fatto che, anticamente, a quei caci veniva data la forma di un cavallo. La pasta acidula utilizzata per realizzare il caciocavallo immersa nell'acqua bollente diventa molto duttile e, come accadeva molti anni fa tra i massari dei monti lucani, nelle mani poteva essere facilmente sagomata a mò di piccoli cavallini intrecciati di fili di cacio e tinti di rosso col succo delle more e destinati a essere "usati" come giocattoli. In altri tempi invece quelle "opere d'arte" rappresentavano l'ornamento delle mense del Feudatario. Eliminate le inutili estremità all'antico cavalluccio, è rimasto a quell'antico formaggio la forma embrionale del cavallo e il nome che ancora oggi contraddistingue questo prodotto. Il termine caciocavallo non si rinviene che negli scrittori del Medioevo (Franco Sacchetti, novella 198), mentre in alcune liquidazioni fiscali del feudo del Pollino del 1556 si legge "…è ivi riportato il peso totale dei caciocavalli raccolti, e che, rimasti in deposito per due anni, furono poi venduti a grana otto il rotolo!" Relativamente al metodo di fabbricazione del caciocavallo, esso non differisce molto da come avveniva in passato sui monti del Pollino e in quasi tutta la Basilicata, se non per il fatto che il massaro ha ceduto il posto al casaro e la produzione non avviene più all'interno del pagliaro (cascina) ma in moderni laboratori e con l'utilizzo di moderne attrezzature. La lavorazione continua ad essere strettamente di tipo artigianale. Il caciocavallo è realizzato esclusivamente con latte vaccino intero che è coagulato alla temperatura di 36-38° centigradi, aggiungendo caglio in pasta di vitello o di capretto. Segue poi la rottura della cagliata e il suo riscaldamento, la lavorazione della pasta (filatura), la formatura (a pera o a fisco) con eventuale formazione della testina, il rassodamento, la salatura, l'asciugamento e, infine, la fase della stagionatura: le forme sono legate a coppia con appositi legacci e sospese a cavallo di una pertica. Dalla durata di maturazione del prodotto (minimo trenta giorni) dipende il sapore del caciocavallo. Il caciocavallo giovane (da 4 a 8 mesi) è poco duro al coltello, ha un sapore dolce che ricorda vagamente quello dell'emmenthal, ottimo come formaggio da tavola. Stagionato invece, per uno o due anni, il sapore è più salato e intenso, duro e asciutto, decisamente piccante: da grattugiare o consumare a tavola con del buon vino rosso. Con il passare del tempo varia anche il colore della crosta, che è comunque sottile, liscia e dura, dal giallino in età giovane, mattone chiaro se la stagionatura è prolungata. La pasta è compatta e il colore varia tra il bianco e il giallo paglierino. E' presente qualche insenatura in relazione alla posizione dei legacci; di piccole dimensioni, il peso del caciocavallo varia da un minimo di 1 kg a un massimo di 2,5 kg e differisce dal provolone solo per la forma e per il peso (nel provolone il peso raggiunge anche i 4 chilogrammi, la forma a palla e della grandezza di un popone). Attualmente si tratta di un formaggio tutelato dalla legge sui prodotti tipici, e il metodo di produzione è dettagliatamente disciplinato nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del maggio 1993, che ha riconosciuto la denominazione di origine "caciocavallo silano" al formaggio prodotto nell'area geografica dei territori delle regioni Calabria, Campania, Molise, Puglia e Basilicata, specificatamente delimitati dallo stesso Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. L'Unione Europea ha conferito la Denominazione di origine protetta con regolamento n.1236 del 1996. Le produzioni più pregiate si trovano in Basilicata e in Calabria. In Basilicata rinomato è soprattutto, il caciocavallo podolico ricavato dal latte intero di mucche podoliche, una razza di origine ucraina introdotta con l'invasione dei barbari, che vivono allo stato brado nei boschi e terreni da pascolo. Da segnalare gli importanti riconoscimenti ottenuti da questo prodotto caseario: nel 2001 vincitore assoluto della I edizione il "Il formaggio d'autore" tenutasi a Saint-Vincent, manifestazione organizzata da Coopagrival (Associazione Produttori Latte Valle d'Aosta), Anfosec (Associazione nazionale Formaggi sotto il cielo), Slow Food, Onaf (Organizzazione nazionale assaggiatori di formaggi). Si è classificato al primo posto, su 150 formaggi in concorso, il caciocavallo podolico dell'Azienda Di Gilio Antonio di Ferrandina (Matera). Nel 2002, invece, nella seconda edizione, il caciocavallo podolico prodotto da un'Azienda di Abriola (Potenza) si è classificato al terzo posto. La Basilicata copre il 60% della produzione di caciocavallo silano dop che vende alle regioni limitrofe grazie a un surplus di produzione di latte. Dato che la forma (tronco-conica in Calabria; sferoidale con testa e senza in Puglia) e il tempo di stagionatura è diverso nelle varie regioni, il gusto del caciocavallo è diverso e, pertanto, il prodotto lucano non riesce ad affermarsi sul mercato italiano e internazionale perché non ben identificabile. A più di un secolo di distanza l'obiettivo che ci si prefigge è quello di proteggere la produzione "storica" del caciocavallo silano, per evitare deplorevoli imitazioni. Il Consorzio lucano si è reso artefice della campagna di sensibilizzazione per giungere al riconoscimento della dop del caciocavallo lucano. La Regione Basilicata sosterrà questa iniziativa attraverso i suoi canali finanziari per fornire contributi economici alla ricerca volta a migliorare, in generale, la qualità delle produzioni dei formaggi lucani. (L.S.)